— Quella malata è appesa al mio collo e mi impedisce di vivere. La caccerei volentieri, ma peccato — senza di me sarebbe finita! — disse malignamente Marcel, parlando in videochiamata con l’amante.
— Certo, amore, preparerò la tua cena preferita — Emma bloccò il telefono tra la spalla e l’orecchio mentre digitava il codice d’ingresso dell’ufficio. — A stasera.
Si preannunciava una giornata pesante: due riunioni importanti, una presentazione di progetto, incontri con i clienti. Emma guardò l’orologio — se tutto fosse andato secondo i piani, avrebbe avuto il tempo di passare al supermercato prima di tornare a casa.
— Oh, guardate chi è arrivata! La nostra eroina del lavoro — ironizzò Sabine della contabilità. — E il tuo marito creativo? Ha già trovato se stesso?
*
Emma accennò solo un sorriso storto. Dopo tre anni di matrimonio, quelle frecciatine erano diventate la norma.
Marcel “cercava se stesso” nella musica, nella grafica, nelle applicazioni mobili. Non portava soldi, ma Emma credeva che gli servisse tempo.
— Figlia mia, sei troppo buona — sospirava la madre quando Emma pagava di nuovo l’affitto. — Vive alle tue spalle.
— Mamma, non capisci. Marcel deve sviluppare il suo potenziale.
Ma il tempo passava e le sue pretese crescevano: un blog di viaggi con attrezzatura costosissima, uno studio domestico che costava quanto il suo stipendio mensile.
Emma accettava progetti extra, lavorava fino a tardi, rinunciava al riposo.
La suocera, madame Lefevre, aggiungeva il suo veleno:
— Un uomo mantenuto dalla moglie smette di essere un uomo. Lo umili con i tuoi guadagni.
— Mamma, basta — rispondeva Marcel, ma il suo volto mostrava che era d’accordo.
*
La sera, Emma, carica di borse, tornò a casa. Nell’appartamento regnava un silenzio sospetto.
— Marcel? — chiamò lei, sistemando la spesa. — Sei qui?
Dallo studio provenne una risata soffocata.
Emma socchiuse la porta — voleva solo chiedergli se avrebbe cenato. Ma si bloccò.
— Lei sgobba in quel suo lavoro come una dannata — Marcel era sprofondato nella poltrona, parlando in video. — Torna tardi, nessuna vita privata. E a me fa comodo — più tempo per me.
Sul monitor apparve una giovane bionda — Kristi.
Lei sorrise in modo civettuolo:
— Poverino… Deve essere difficile vivere con una moglie così.
— Almeno paga l’appartamento — sbuffò Marcel. — E io sto sistemando il nuovo studio. Presto te lo farò vedere, piccola…
*
Qualcosa in Emma si spezzò. Un nuovo studio? Con i suoi soldi?
— E se lo scoprisse? — chiese civetta Kristi.
— E cosa potrebbe fare? — sorrise Marcel con sicurezza. — Sai come si dice…
In quel momento il telefono di Emma emise il suono di una notifica.
Marcel si voltò bruscamente. I loro sguardi si incrociarono.
— Emma… Tu… da quanto sei qui?..
Kristi strillò e chiuse la chiamata.
In quell’istante si udì il rumore della porta d’ingresso che si apriva.
Qualcuno entrava nell’appartamento.
*
Marcel impallidì.
— Emma… era… doveva essere una sorpresa…
Emma si girò lentamente verso il corridoio.
E pochi secondi dopo, una figura femminile apparve sulla soglia…
— Marcel?.. Avevi detto che saresti stato solo… — risuonò una voce familiare.
Nel corridoio stava in piedi Kristi — la stessa con cui aveva parlato poco prima.
Con un cappotto lungo, una sciarpa, sembrava essere venuta “a casa sua”.
*
Emma la osservava con una calma glaciale, molto più spaventosa di un grido.
Kristi impallidiva sempre di più.
— Io… pensavo che lei fosse partita…
Marcel balzò dalla poltrona:
— Perché sei venuta?! Ti ho detto — domani! DOMANI!
— Hai detto: sono solo — ribatté Kristi. — E tu… — indicò Emma — hai fatto la valigia davanti a me!
Emma chiuse gli occhi per un secondo.
Poi parlò freddamente:
*
— Fare le valigie? Benissimo. Marcel, comincia adesso.
— Non puoi cacciarmi dalla MIA casa! — urlò lui.
Emma aprì un mobile e prese dei documenti.
— Questa è casa mia. Comprata prima del matrimonio. Le rate — mie. Le utenze — mie.
Lo fissò negli occhi.
— Il tuo contributo? Zero.
Kristi abbassò la testa. Aveva già capito tutto.
Marcel iniziò a urlare:
— Non me ne vado! Non hai il diritto!
*
— Allora chiamo la polizia.
Emma spalancò la porta.
— Uscite. Tutti e due.
Kristi uscì per prima, tremando:
— Davvero… mi dispiace. Non lo sapevo.
Marcel cercò di afferrare la mano di Emma, ma lei si scostò.
— È finita, Marcel.
— Dammi un’altra possibilità… — sussurrò lui.
— L’hai già avuta — rispose lei. — L’hai sprecata con lei.
Pochi secondi dopo lasciò l’appartamento — sconfitto, confuso, disperato.
*
Emma chiuse la porta.
Piano. Senza fretta.
L’appartamento si riempì di luce.
Di spazio.
Di leggerezza.
Emma si sedette sul divano, inspirò profondamente e, per la prima volta dopo molti mesi, sentì… la pace.
Era la notte di un nuovo inizio.
Il suo — e solo il suo.