Matteo aveva cercato di intervenire, ma lo avevano zittito ancora una volta.

L’esperto aggrottò all’improvviso le sopracciglia, sollevò gli orecchini verso la luce e disse lentamente:

— Aspettate…
Stop.
Stop, stop.

Ci immobilizzammo.

*

Cosa vuol dire “stop”? — chiese Ingrid con voce tagliente.

L’uomo non rispose. Prese una lente, esaminò accuratamente le pietre, poi alzò su di me uno sguardo pesante, quasi studiato.

— Signorina… da dove provengono questi orecchini?

— Da mia madre.

Inspirò profondamente, come se ponderasse ogni parola.

— Se non mi sbaglio… è il lavoro di Emile Reiner. Pezzi del genere valgono molto più di venticinque euro.

*

Elida si sporse immediatamente in avanti:

Allora quanto?

L’esperto dichiarò chiaramente:

— All’asta potrebbero raggiungere novecento euro. Forse di più.

La mascella di Ingrid si abbassò.
Matteo si raddrizzò di scatto.
Elida emise un gemito, come se qualcuno le avesse appena somministrato ossigeno.

Chiesi a bassa voce:

— Ma lei aveva detto venticinque.

*

Lui accennò un sorriso appena percettibile:

— Perché credevo fosse una copia.
Ma non lo è.

Un silenzio glaciale cadde nella stanza.

Elida tese la mano:

Anna! Dalli a me! Troveremo subito un compratore!

Io chiusi con calma l’astuccio.

— La decisione la prendo io.

Rimasero tutti senza parole.

*

Matteo sussurrò:

— Anna… perché tutto questo? Perché venire qui? Perché sopportare queste umiliazioni?

Lo guardai e finalmente risposi:

— Perché era un esperimento.
E voi eravate tutti partecipanti.

I volti dei Winter impallidirono di colpo.

In quel momento la porta si aprì ed entrò una donna con un elegante cappotto beige. Era la segretaria di mio nonno. Il suo sguardo freddo scivolò nella stanza prima che dicesse:

— Anna Morenier? Suo nonno mi ha incaricata di informarla che l’esperimento è ufficialmente terminato. E la congratula: lo ha superato brillantemente.

Elida si voltò verso di me, tremante:

Un esperimento? Che altro esperimento sarebbe?!

*

Risposi con calma:

— Un anno fa ho scommesso con mio nonno che sarei riuscita a vivere tra persone che giudicano gli altri in base al reddito. Senza soldi. Senza un nome. Senza status.

Un anno? — mormorò Ingrid, completamente disorientata.

— Sì. E voi siete state… soggetti di studio perfetti.

Ingrid fece un passo indietro.

Elida diventò pallida come il gesso.

Matteo domandò con voce spezzata:

— Anna… perché non me l’hai mai detto?

Lo guardai con dolcezza, ma con fermezza:

— Perché anche la tua reazione faceva parte dell’esperimento. Sei rimasto in silenzio troppo a lungo.

*

Abbassò lo sguardo.

La segretaria aggiunse:

— Suo nonno desidera che lei passi oggi stesso a ritirare i documenti. Intende inoltre affidarle la gestione di una parte della sua fondazione.

Elida vacillò:

Anna… tesoro… noi siamo una famiglia…

Sorrisi freddamente:

— Una famiglia? Che ironia, detto da persone che ieri volevano scambiare il ricordo di mia madre per un barbecue.

Il silenzio cadde di nuovo.

Chiusi l’astuccio con gli orecchini.

— Me ne vado, — dissi semplicemente. — Fra una settimana partirò. Nessuno deciderà mai più come devo vivere.

*

Matteo fece un passo verso di me:

— Anna… ti amo.

Scossi leggermente la testa.

— Forse un tempo. Ma non basta, se permetti agli altri di decidere al posto tuo.

Rimase immobile.

Uscì dal banco dei pegni. L’aria fredda all’esterno aveva il sapore di una libertà che non provavo da molto tempo.
La segretaria mi seguì, chiudendo la porta dietro di noi.

Dietro di me rimasero:

— i singhiozzi nervosi di Elida,
— il mormorio spaventato di Ingrid: «Abbiamo perso tutto…»,
— e il silenzio pesante di Matteo, che capiva finalmente ciò che aveva perso davvero.

Il vento sfiorò i miei capelli.

*

Sorrisi.

L’esperimento è finito.
Le conclusioni sono chiare.
Le maschere sono cadute.

E la mia vita — finalmente — appartiene a me.